lo sapevamo da subito.

bastano splendidi per tre attimi
solo. e lo sanno, da subito, tutti.

uno è per te, lascia per me
il ricordo secco delle tue spalle. limone e miele.

























"...i've been so far from here,

far from your warm arms.


it's good to feel you again,
it's been a long long time.




hasn't it? ..."

L'eco: racconto giallo. Parte III

[... - prima parte - ...]
[... - seconda parte - ...]
_________________________

Dopo uno di quei dopo che non si misurano, il suono del campanello la sveglia, la riporta al freddo del pavimento bagnato,
sui tagli.

Gli istinti della ragazza sono per uno stato di incoscienza serena che le dona un’altra pausa.
Come quando la testa scivola dal sonno, lei torna subito via. Perde coscienza per autoregolazione.

Il campanello, di nuovo, la riporta indietro. Per pochi attimi.
Neanche abbastanza perché faccia in tempo a chiedersi come mai stia gemendo.

Vive a momenti di consapevolezza sbiadita in cui,
a sguazzare le mani nel sangue sul bianco della doccia, le sembra
quella volta in cui giocava
alle impronte con la pittura a dita su fogli enormi.

Ne viene fuori un sorriso da bimba, nonostante tutto.
Ma gli occhi aperti le durano poco
più del cigalino.
Come in un film scritto su un dvd rigato, il mondo le salta
un istante prima della cognizione del dolore.

Poi il trillo del telefono, che non smette.
E la suoneria del cellulare, fuori luogo in ogni situazione.
Più si sommano i suoni, più si prolungano i momenti svegli di lei, più realizza le fitte, più le aumenta la speranza di continuare a riposare
sempre.

Si abbandona, ad intermittenza, ad un sonno nero con il terrore dei suoni forti.
Come se sonnecchiasse accanto ad una televisione sintonizzata male che, ogni tanto, la scuote.

Di nuovo campanello-squillo-campanello-suoneria: intervallati dal buio.

E botte sulla porta dell’appartamento.

Suoneria, campanello, trillo. Ancora. E pugni sul legno, sempre più violenti. In crescendo.

Pochi secondi per la rincorsa e il fracasso del portone sfondato dall’esterno. Alla fine.

Entra dal pianerottolo un ragazzo snello, con la faccia tutta rossa di fiato grosso,
corre in cerca di lei.
- ‘Eliii! Tutto bene?
Urla.

La trova presto,
una ragazza semimorta, rannicchiata nuda che disegna a terra con le mani sporche di sangue.

Il ragazzo magro nota un eco di risata sulle labbra di lei.
Lei ride come se fosse in grado di nascondere i supplizi,
anche a se stessa.
Un sorriso dolorante,

come un pierrot.








It is always the imagination
which gains the victory over the will,
without any exception.

- Emile Coué.

L'eco: racconto giallo. Parte II

[...  - prima parte -  ...]

_________________________

L’uomo-torre finisce di lavare il bagno, si asciuga. Estrae una busta vuota di plastica dal tascapane, la apre e la riempie con l’asciugamano e le spugne sporche.

La donna con gli occhiali lancia verso di lui il cencio insanguinato con il quale stava pulendo il coltello e rinfodera la lama.
Lui si china a raccogliere lo straccio senza una parola e lo aggiunge ai panni sporchi. Sigilla a nodo stretto la busta e la ripone.
Lei, intanto, si sciacqua le mani, non si cura del sangue che sparge sul piatto del lavandino appena lucidato. Appena poi, si allontana.
Lui strofina via dalla ceramica bianca le nuove strisciate,
con le dita.

Poi, senza asciugarsele, punta le manone alla gola della ragazza che piange.

Sicuro
come se mancasse una pennellata per completare il mestiere.

La donna con i capelli neri si intromette con una battuta secca di voce storta:
   - Lascia pure che soffra.
E abbassa le braccia di lui con un gesto del pugnale.
Lui le risponde con uno sguardo incredulo e rabbioso. Ma dopo, subito, si corregge:
china il capo:
   - Hai ragione.
Remissivo per qualche istante di occhi chiusi e schiena ingobbita.
   - Mi dispiace solo che non riuscirà a lamentarsi ancora per molto.
Aggiunge per recuperare la stazza.

Tra i due succede un reciproco sorriso di intesa.

Lui chiude la doccia
eppure non ottiene il silenzio desiderato per l'ultimo sguardo compiaciuto.
Allora escono via.

Un risolino all'unisono, prima di lasciare un'altra bambina a pancia all'aria,
a contare
i secondi
che passano
tra un respiro
e la forza
di farne un
altro,

finché la luce dei neon le uscirà dalla capacità percettiva.
Fino a quando il tempo le perderà di senso.

L'eco: racconto giallo. Parte I

La luce esterna non filtra dalla tapparella abbassata, eppure il neon bianco appeso a parete poco sopra il portasciugamani illumina a giorno. La stanza è molto grande
e l’effetto di ombre lunghe lunghe sulle piastrelle chiare del bagno è tanto garantito quanto ovvio.


L’eco del pianto di lei non distrae il gigante dal suo lavoro: a colpi di stracci lucida le pareti mentre gocciolano sangue. Lento come chi è costretto, come chi cancella un quadro 'che sa sarebbe di troppo:
va piano
per gustarne i particolari
ancora
un'ultima volta.
Altro che come chi deve: è minuzioso,
per abitudine.
Si direbbe un omone sconsolato. E i sospiri non tardano ad arrivare dal primo risciacquo di pezza in poi.

Lei, sparsa a terra nel piano doccia, rantola e poco altro.
Non bada al piacere del contrasto tra i colori che offre la scena:
il rosso sbiadito del sangue suo che scorre via con l’acqua,
risalta sul bianco lucido del marmo che fa da fondo. Lo scroscio della doccia spalancata aiuta ad incupire e i lamenti di lei, anche:
a mo’di pioggia forte e tuoni lontani.

La donna con gli occhiali non smette di passare su un cencio la lama del pugnale. Un gesto distratto che porta avanti per abitudine. (sovrappensiero). Ha negli occhi altri entusiasmi: sorride al ricordo delle smanie che sentiva mentre
era concentrata a pianificare il lavoro che ha portato a termine ora, gusta la meticolosità e la naturalezza con la quale ha eseguito il suo piano. Si compiace del momento, come un regista mentre guarda ancora quella sequenza che girò
in un baleno di grazia particolare.

dio è nella pioggia.

arriva,
e sempre,
uno di quei bui in cui uno si mette lì a fare finta di capirci qualcosa, a darsi un tono da Ecco, adesso tiro le somme, Guardatemi, concentratevi, che Ora tiro fuori la media.

arriva quella notte e mi guardo da solo in faccia mentre mi faccio il mio riassunto da solo:


ci sono così tanti momenti in cui sto e basta, senza saperne nulla.
ce ne sono tantissimi di quelli che Non c’è male, grazie. No, no, davvero, bene, bene.
ancora tantissimi in cui, invece, non so bene quanto per gioco, eppure,
tutto sommato, un tuffetto a bomba nel traffico sarebbe ristoratore...hem...
e ci sono quelli, un po’ meno, certo,
ma ce ne sono eccome, in cui neanche avrei la forza di arrivarci al traffico per quanto arrivo a sperare che la noia sarebbe meglio.
potrei contarli senza troppi zeri,
invece, i minuti passati con gli occhi e la bocca così pieni
da non riuscire neanche a sorridere perchè non basterebbe.
la voglia di piangere di gioia lo so com’è,
anche se di zeri non ne ha mai avuti.
e le notti che non ho dormito per tirarne fuori una media, sono
tra le tante e le molte.
e quasi mai piacevolissime.


il pensiero che viene spontaneo dopo poco una media così è, o più o meno dovrebbe essere
o per lo meno per me è stato:
Hai presente quando batti il nervetto del gomito sullo spigolo e da la scossa?
ecco, stavo pensando, e se potesse essere Tutto Solo così?


allora

propongo uno scambio:
lascio tutti gli sbattimenti:
gioie e dolori, donne e motori
&company e
mi tengo solo quell’attimo. così,
una scossa e punto e fine.
pochi secondi e senza consapevolezze in cambio del resto.

allora ok?

poi, mi va sempre a finire che non so proprio a chi potermi rivolgere per uno scambio così.

quasi quasi sarebbe da ricominciare con le religioni, se non altro, avrei mezza speranza.
Di un bel giorno, di incontrare un tipo, più o meno figo, più o meno liquido, che mi darà retta.
magari per forza, va bene. però dovrà rispondere.

è che in periodi come questo, non lo faccio apposta, ma ho bisogno di mandarli a qualcuno i pensieri. l’importante è che nessuno, poi, sia davvero il destinatario. o che me ne voglia per l’intrusione.

sisi, vabbè, ho finito,

lascio solo quattro righe piacevoli per ringraziare di aver letto fin quaggiù,



Più bello il fiore cui la pioggia estiva
lascia una stilla dove il sol si frange;
più bello il bacio che d’un raggio avviva
occhio che piange.




...e non dico neanche di chi è.

cfr. anche: the human use of human beings.

 # oggi guardo cartoni animati.
- scemo io che stavo per chiederti cosa fai.


# mi fanno pensare alla cibernetica.
- lo so, il tempo, l'alienazione degli occhiali a specchio, la paura e la voglia, l'accidia dei telecinetici...
# più o meno.


- VIA: hop-hop gadget desiderio!
# ...
- se fossi un cyborg ora vorrei?


# ...
- ...
# la so.
- sono tutto un meccanorecettore uditivo.


# ...vorrei innescarmi dei capelli waterproof e un cervello cordless.
- ...
# per lasciare sempre, sempre la testa tra le nuvole.


- ^__^

# ^__^





 Il mondo del futuro sarà
una battaglia sempre più impegnativa contro
le limitazioni della nostra intelligenza,
non
un'amaca confortevole su cui distenderci, serviti
dai nostri schiavi meccanici. 
- N. Wiener, Dio & golem s.p.a., bollati bornghieri, torino, 1991, pag. 70.

chesil beach













"

Ecco come tutto il corso di una vita può dipendere

dal non fare qualcosa.

[...]

Edward era rimasto impassibile nel suo silenzio virtuoso...

".


per uno a cui piacciono quelle scritte di parole, per uno che nella vita scrive libri, non è facile scrivere di quelle volte in cui il silenzio è la scelta


peggiore da fare.
e gira tutto intorno a questo.



ovvio che ci sia anche dell'altro, ma la curiosità non è mai abbastanza.


e del modo in cui gioca con il ritmo che sembra regolare eppure non annoia mai. e per il metodo che usa per fare in modo che pare di stare nella testa della gente di cui scrive.
e per gli aggettivi messi sempre dove non è che non te l'aspetti, ma quasi. e per come si fa a scrivere un bel libro,


ecco,


chiedete a lui che l'ha scritto.

del vento tagliuzzato a mo' di coriandoli


prendi una patina, come di cellofan,

colorala

e riempila

piena piena d’aria, prendi un filo tagliato, un po’ di vento e

se ne va’.

poi prende e

..

........

............

...............................

.......................

..............

.................

..

.......................

..

.......................................

...........................................................

....................................................................................

.......................................................................................................................

cade.



e si riprende via e

ricomincia

senza provare a capire il senso.


i palloncini sono belli,

e più dell’aria. però

l’aria prende la forma

che immagini ogni volta,

ogni volta. loro sanno bene che l’aria non ha forma

che prende ogni volta il colore di quello che ha dietro.


ogni volta.

e mettila proprio dove vuoi, e non scoppia l’aria, l’aria non scoppia. e profuma

sempre e sempre di vento. profuma di tutto quello che il vento,

ogni volta,

si porta via. il vento,

il vento prende la sera. il vento porta via anche il vento, e non cade mai.

l’aria non lo so se vola ma non cade

mai.


il problema dell’aria è che non c’è.


e le conoscono proprio tutte tutte queste quattro righe,

quelle bestioline che volano,

e ogni tre stelle ce né uno che vola.


"...ogni tre ami

c'è una stella marina

ogni tre stelle

c'è un aereo che vola

ogni balcone

una bocca che m'innamora..."



phantom channel crossing

ascolto labradford e viene voglia di smettere di non credere ai fantasmi.
Da dentro le orecchie spuntano spiritelli. Appena la musica arriva sotto al letto,
se ne accorgono gli scheletri: si scuotono e fanno il coro a una vecchia fabbrica in disuso.
Dove c'era il legno c'è la polvere, dove c'era il ferro c'è la ruggine. Il vetro è sempre un'altra storia.
Apparte polvere e ragnatele di rito, un paio di betoniere pienepiene di ruggine svuotate dalle terrazze su tutto quello che di meno organico dura.
Sulle colonne finanche la vernice delle antiche tag si sta per sbiadire via.
Eli
Il rumore dei passi è come quello che verrebbe fuori da una camminata sulle pietre di una grotta gonfia di muschio, però al contrario. e senza eco. e con i vetri.
Anche i rampicanti, appesi tra le tubature e quello che resta dei finestroni, hanno preso un colorito grigiastro.
Qualcosa di acceso rimane, per assuefazione. Come per i capelli, che non la smettono mai di crescere.
La gara tra il rumore del vento e la caciara delle motrici, va ancora avanti. solo che adesso vince il vento con tutte quelle fessure nuove da fischiettare.
Pure la luce trova giochi nuovi su cui riflettere. colori apparte.
Bello capire che addirittura l'asfalto torna terra, anche se somiglia al colore della terra di un film in bianco e nero.
Dalle crepe dei camini esce ancora il fumo. come dalla dentiera malandata di una vecchina alla sua ultima sigaretta.
Una di quelle fabbriche che ancora continuano sempre a fare fumo dalle punte delle ciminiere. di quelle che prima o poi qualcuno dirà che è stregata davvero. una di quelle fabbriche che, intanto però, nessuno ha il coraggio di entrarci. di quelle che, anche adesso, non è mai ne notte ne giorno, come quando era tutta accesa.
La voce è quella di un lenzuolo bianco che gela le spalle.



"...
se distanza ti farai,
io sarò asfalto,
impronta sui tuoi passi senza stringere mai
..."


a domanda

- come va?
# grazie, e a te?
- ti dirò.
# -_-
- -_-'





stefano83

the funeral song be sung!





REGALASI:




vecchia collezione di racconti manoscritti statunitensi,



causa sepoltura prematura dell'Antico possessore.




Per i meno sani di mente possibile recupero della cassa oblunga in cui erano conservati dall'autore.




ASTENERSI animisti e tafofobici.





Harry Clarke, The Premature Burial, 1919.

balcony scene

'on tanto di sedia, scrivania, insomma, tutto il necessario.
per vincerla su una paginetta bianca di blocco note.

ravano prima tra gli mp3, per qualcosa che possa fare da sfondo ma che neanche passi inosservato.
come si fa.


resto alla prima riga però,
o giù di li.




craig armstrong - the space between us.m3u
[ mode: repeat playlist ]

fermo almeno fino a giulietta e romeo.

alla prima riga no,
a bocca aperta no,

ma quasi.


... . .... .. .. ..... ... . . ... ..... ... . .... .... ..... ........ ... . . . ....



# meglio così.

- avresti scarabocchiato giù la solita solfa.

# tipo i soliti elogi alla malinconia.

- dai, inizia con quella della nostalgia che non ha bisogno di motivi reali.

# come scusa: il fumo di una sigaretta lento, di quando l'aria non si muove.

- vorrei, dietro, un bel crepuscolo.

# con almeno un pioppo, tra il resto e il cielo.

- sii, così grigio. e verde appena quanto il ricordo del colore che avrebbe.

# una spolverata di vociare lontano?

- aiuta a sfocare, distrae. a mo' di speranzetta.

# aspetta, aspetta, mettiamoci anche un'altalena che cigola.

- ole. pronto un bel loop, che la ricorsività mai è demodé.

# ...

- ...

# manca solo qualcosa da dire, no?

- ma non succede mai niente.

# perché, pensi dovrebbe?

- ...

# ...

- mmm.

# ...

- buona scusa.

# ...

- mmm.

# ...

- !!!

# ?

- secondo me è pigrizia idealizzata.

# -_-'









"...
it hasn't need to be love
it hasn't mean a thing
..."



oooonceeeee upon a timeee

prima di sapere che i pantaloni neri con le felpe blu non vanno,
prima ancora di capire il bello del tono su tono. prima
ancora
di sapere il lato verso cui si girano le chiavi dentro alle porte troppo aperte.
prima di sapere come è facile scacciare le voci di tutti con un tasto vol-up.

Ti ricordi che freddo mandava quel vento che sapeva di tutti i castelli della sabbia di tutta l’estate appena andata.
quella volta che avevo lasciato il commodore64 fuori portata. avevamo le maglie senza maniche e i costumi appiccicosi di quando le mamme ancora non hanno trovato la fantasia per il cambio di stagione.
avevi fango anche sulle sopracciglia e colavamo sempre di sangue da
un ginocchio o due.

Hai fatto per fermarti a bere da una fontanella bassa appena meno di te: Guarda, c’è un pesce, corri, guarda!
solo per farmi avvicinare un po’ per schizzarmi meglio.
e poi correvi via. preestooo.
e non ti arrivavo quasi mai. e le volte in cui ti arrivavo,
poi
non sapevo mai che cosa fare.

quelle si che erano risate vere, sorrisi forti.
e poco dopo, quelle urla: E’ prontooOOo.
e ogni volta era ogni volta troppo Di già?.
un paio di ciao svogliati e il ritorno verso casa lento, con gli occhi a mezz’asta.

Era ancora troppo presto per desiderare il verso di un cellulare, o per il sapore duro di: Ancora un’altra sigaretta.
eppure la nostalgia, la nostalgia ce l’avevamo già colorata a cera fuori dai bordi dei sospiri.

- Michiii. Era ora!
- ...
- Che hai fatto oggi?
- Niente.
- Ma possibile che non fai mai niente te?
- Mamma, daai, ho fame.

niente...non avevo fatto niente. e lo pensavo.
non potevo capire che non erano buchi di ricci di mare quelli, non potevo sapere che avevo passato quei giorni a scoppiarmi le bollicine dei piedi sugli spigoli delle stelle.



"...
you think i got my eyes closed,
but i'm lookin' at you the whole fuckin' time
..."

quella del lupo e del pipistrello.

una vecchia storia, un’altra.

facciamo un gioco: prendo per me una rifilatura d’argento sui denti. un mazzo di specchi rotti al posto delle unghie tue.

chi prende fuoco più tardi vince.
anzi, no. non vince lo stesso nessuno: facciamo che alla fine muoiono sempre tutti: ti va?

tanto la notte è la stessa, la luna piena attira anche me, figurati.

dovrò solo limarmi un poco i denti. per non fare urlare. dovrò digiunare per un po’. per stare più attento a non fare troppo rumore.
tu rifarai i peli, le unghie no, le zanne no. che altrimenti non si trovano le vene. che non c’è gusto se non restano i segni sulla schiena. sul collo.

userai gli specchietti per capire da dove arrivo, non mi sentirai. non smetterai di ululare fino a che non mi avrai sopra. come chi fischietta per non dare nell’occhio.

ai morsi ho già imparato a reagire. io che mi conosco. ho paura solo di vedermi.
basta chiudere gli occhi, basta trattenere il respiro per non urlare. ad ogni morso.

ad ogni graffio sulla schiena una lacrima, per ogni lacrima un sorriso.
- chi urla esce: rimane vivo e annoiato. -
per ogni sorriso una scottatura. per ogni scottatura una cicatrice nuova.
la voglia di mordere ogni nuova cicatrice.
- chi scappa esce. chi si nasconde anche. -
per ogni goccia di sangue, la voglia di un altro morso. per ogni bacio preso si perde una goccia di sangue, viene un po’ di fame in più.

fino a restare cianotici. e sbranati vivi.

cambia solo il modo di darli i morsi.
chi è forte corre e salta, c’è chi si avvicina piano senza farsi notare.
uno beve, uno mangia.

non si direbbe,
eppure vincono tutti e due da morti.


'belli che abituati ormai.

photos of ghosts

ormai è rimasta solo l’ombra della schiena di un fantasma, o due.

se fossimo colori veri saremmo lo stesso senza vie di mezzo.
solo che ormai sono rimaste solo sfumature:
dove una sa di corse, e di vento, e di paura no. l’altra puzza del culo di un tram.

Mi ha regalato corse che non sarò all’altezza neanche più di lanciare sassi sugli oblò.
figuriamoci cosa potrei da nascosto sotto il suo letto. da nascosto sotto il loro di letto.

si giocava a nascondino: e ci siamo trovati, ma solo per nasconderci più sotto. e mi ero nascosto più dentro. solo,
e solo con lei.

fossero rimasti pure tutti nascosti, tutti gli altri. tanto non ho mai pensato che ne sarebbe valso di penarmi.

stavamo zitti. a trasformarci in piccoli così:
per stringere meglio, per scomparire ancora
un po’.

se tutti insieme fossero usciti, se ci avessero cercato. non avrebbero trovato di più vero se non i sospiri dei sorrisi increduli, un vento profumato, di una scia di quelle corse da qui alle mani nei capelli profumati suoi.



fossimo stati colori, saremmo stati due: uno sapeva da sempre di paura.


l’altro è ancora del colore di un muro mentre crolla.

non ha lasciato altro che la traccia
come le lumachine.









............................ "...i've one photograph

.................................... that captures her smile,

.................................... but i don't have a tape of

........................................... her laugh..."

in silenzio

come quando ogni parola costava troppo. e quelle che avrebbero voluto entrarmi forte dentro le orecchie proprio non ci passavano.

Mai misurato quanto è sproporzionato un urlo?

Quella volta ho ordinato al marciappiede una panchina per necessità, ma non è bastato.

Non basta così poco a fermare le teste quando girano.

Al posto dei pensieri
c'era un bel mazzo di
fogli trasparenti scarabocchiati, uno sopra l’altro che non si leggeva niente. e tutta la smania di fare ordine non serviva a niente, se non, alla smania per se stessa.

Quella smania che non serve mai a nulla.

Anche l’aria sembrava acqua. l’aria, meno lucida del solito, non bastava più. sapevo di averne da fare indigestione,
ma saperlo non ha aiutato, anzi.

Avrei potuto dettare la lista dei motivi per cui era tutto troppo simile ad un acquario a palla, e dettagliata, e ordinata, dentro un elenco numerato in un ordine qualsiasi.
Solo che avrebbe peggiorato tutto quanto.

Presente quant’è bella l’ignoranza.

Al posto dei pesci palla c’era il bisogno di andare via e le gambe interrate. la voglia di svuotarmi la cera di un cero nelle orecchie o la paura di cucire a tutti la bocca a crudo suonano troppo sinonimi per non far paura.

Com’è vero che i pesci palla si somigliano tutti.

Lo sapevo che il fiato che mi era rimasto sarebbe bastato a spiegarmi, invece l’ho usato solo per chiedere altro silenzio.
anche se, ormai, le loro parole erano filtrate di netto.
C’era l’esasperazione che c’è dentro ai film muti, nel momento degli strilli.

Solo che a lavorare di fantasia non sempre fa zompare di gioia. anzi.

Ecco: questo è quello sbagliato di silenzio.



Parola.

We guard your souls for peanuts.

Sul tronco del cipresso caduto, un pic-nic a mezzanotte.
Marshmallows in una busta non di cellofan, di filo di ragno.
aprire qui, senza forbici, senza mani, con i denti e con la lingua indietro.
Gusti misti: rumore di catene, marmo bianco, lenzuola bianche, eye-liner, polvere scaduta e cigolio di porte.
non cercare di prendere due volte la stessa che non serve.
ce n'è sempre una sola nera, sa del naso di Snoopy, non mangiarla.
Si fanno sciogliere su un fuoco fatuo.
infilzate in una treccia di baffi di gatto nero, per non scottarsi, perché i fuochi fatui non si toccano.
Preesto, che se si raffreddano, non si possono mangiare più.
non rimetterne mai indietro, regalane agli sconosciuti se proprio non ti va più.
quelle al sughero di vino vecchio si mangiano direttamente dalla busta, tanto non si sciolgono e la testa gira lo stesso.
agli specchi rotti sono migliori fredde.
ricorda di cuocere molto quelle troppo chiare e quelle ai denti di ragno.
alla neve bisogna fare attenzione che sgocciolano da sé, le macchie non si lavano mai più.
Preesto.
ma attenzione a non prendere l’ultima che rimane.
attenzione a non lasciarne.


Per secondo fettuccine cacio e pepe. con una spolverata di cipolla (‘visto mai).

nightswimming

e se fosse tutto nero, per una volta?

sarebbe da raccontare tutto quello che non si vede.
quando ad aprirli gli occhi non succede nulla per quanto è notte (di quando non è successo nulla per quanto era notte).

ognuno di quei rumori qualsiasi diventa grande come uno qualsiasi tra i colori accesi. di quelli che durano solo quanto basta a capire che un colore senza forma ferma non esiste.
quasi mai.
somigliano ai lampi i rumori, ma non cadono. e non si fa in tempo a toccarli.

i ricordi, invece, quelli neanche cadono. i ricordi anche: non ne hanno di forma ferma.
non sembra vero, ma la testa diventa più grande dei cuscini e gli occhi si distanziano tanto che non potrei guardare dritto davanti al mio naso neanche se potessi. neanche se non fosse buio. neanche se fosse dritto, il mio naso.

e di prendere e rimettere in ordine i capelli, e tutto il resto, con le mani non se ne parla neanche.
perché non sembra vero ma le mani se ne stanno così in lontananza che non potrei vederle neanche se potessi, laggiù. e le braccia non pare ci arrivino fin là alle mani.
e di prendere e rimettere in ordine i capelli, e tutto il resto, con uno specchietto non mi vedrei per come sono. neanche se potessi. come al solito. non che ne abbia voglia.

poi un clacson mi disegna il buio e lo vedo, anche se con gli occhi a passeggio.
il freddo serve da filtro nero, ancora più nero, e per fermare i movimenti ancora di più.
a muovermi rovinerei tutto. accenderei la luce se ne avessi il coraggio, se non sapessi di avere le braccia molli, lunghe fino a terra proverei. poi non rimarrebbe nulla.

e di prendere e rimettere in ordine i capelli, e tutto il resto, non si può neanche con i ricordi. perché a volte, a volte, i ricordi è meglio fare in modo che non servano. davvero.

tant'è.

...like a blue wave in a black sea...

Quando il sole sta per smetterla comincia la parte che suggestiona. Il lato che non brucia della luce.
I colori si mortificano un poco, certo. E le forme si possono mischiare, anche.

Però basterebbe allungare la linguetta della concentrazione
per avere contorni abbastanza da farci una scena, altro che stilizzata.
Basterebbe serrare gli occhietti dell'inventiva per averne indietro le tinte.
E tutto il resto che pare manchi.
Come per un film in bianco e nero.

Oppure, senza sforzi, pensarla intrigante così com'è la penombra, dove tutto è tono su tono.


"...Black Star
in a
White Night,
like a
Blue Wave
in a
Black Sea."