L'eco: racconto giallo. Parte I

La luce esterna non filtra dalla tapparella abbassata, eppure il neon bianco appeso a parete poco sopra il portasciugamani illumina a giorno. La stanza è molto grande
e l’effetto di ombre lunghe lunghe sulle piastrelle chiare del bagno è tanto garantito quanto ovvio.


L’eco del pianto di lei non distrae il gigante dal suo lavoro: a colpi di stracci lucida le pareti mentre gocciolano sangue. Lento come chi è costretto, come chi cancella un quadro 'che sa sarebbe di troppo:
va piano
per gustarne i particolari
ancora
un'ultima volta.
Altro che come chi deve: è minuzioso,
per abitudine.
Si direbbe un omone sconsolato. E i sospiri non tardano ad arrivare dal primo risciacquo di pezza in poi.

Lei, sparsa a terra nel piano doccia, rantola e poco altro.
Non bada al piacere del contrasto tra i colori che offre la scena:
il rosso sbiadito del sangue suo che scorre via con l’acqua,
risalta sul bianco lucido del marmo che fa da fondo. Lo scroscio della doccia spalancata aiuta ad incupire e i lamenti di lei, anche:
a mo’di pioggia forte e tuoni lontani.

La donna con gli occhiali non smette di passare su un cencio la lama del pugnale. Un gesto distratto che porta avanti per abitudine. (sovrappensiero). Ha negli occhi altri entusiasmi: sorride al ricordo delle smanie che sentiva mentre
era concentrata a pianificare il lavoro che ha portato a termine ora, gusta la meticolosità e la naturalezza con la quale ha eseguito il suo piano. Si compiace del momento, come un regista mentre guarda ancora quella sequenza che girò
in un baleno di grazia particolare.

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